Costocondrite: cos’è, come riconoscerla, cause e trattamenti
In che modo riconoscere la costocondrite e come trattarla
La costocondrite è un processo infiammatorio che colpisce la cartilagine avente il compito di collegare le costole. Può anche determinare l’unione tra lo sterno e le costole o lo sterno e le clavicole.
Costocondrite: in cosa consiste, le peculiarità
Secondo uno studio, quasi un terzo dei pazienti che si recano al pronto soccorso per dolore toracico ne soffre. Ciò è identificativo perché permette di comprendere quanto sia facile da confondere con altri problemi, ad esempio:
- patologie cardiache;
- patologie polmonari;
- fratture delle costole;
- alterazioni della colonna vertebrale;
- lesioni alla spalla.
Il fatto è che la costocondrite non si trova sempre nella stessa posizione. Di solito si verifica solo su un lato del petto. Questa patologia è autolimitante, ovvero si risolve da sola nel giro di settimane o mesi. Il male si manifesta sia a riposo sia durante i movimenti e di norma non presenta gonfiore.
La sindrome di Tietze è una forma particolare. Qui il dolore, intermittente, provoca un gonfiore visibile ad occhio nudo. In alcuni casi, appare nella zona interessata, situata nel secondo spazio intercostale o nel terzo. Se danneggia il nervo intercostale va a coinvolgere il corpo intero, sia i muscoli intercostali sia altri situati nell’area posteriore. Di conseguenza, quando danneggiato trasporta contratture muscolari in luoghi diversi.
La costocondrite è più comune che si verifichi nelle donne di età superiore ai 40 anni. Al contrario, la sindrome di Tietze di solito colpisce giovani adulti o adolescenti. Una delle principali cause è un trauma, da cui un processo infiammatorio. Allo stesso modo, si ripercuote pure sulla gabbia toracica.
Ci sono altre patologie e malattie associate. Artrite reumatoide o osteoartrite, qualsiasi infezione che si diffonda e colpisca la giunzione condrocostale e persino i tumori (al seno o ai polmoni).
Purtroppo, non esiste un test specifico per diagnosticarla. È essenziale fare una buona storia medica e identificare i fattori di rischio di quella persona.
L’elettrocardiogramma e altri test di imaging, quali ad esempio la risonanza magnetica, tendono a risultare utili. Infine, il trattamento si basa abitualmente sulla riduzione del dolore con diversi farmaci. I più usati sono gli antinfiammatori non steroidei, come il naprossene o l’ibuprofene.